• CHITARRA E DIX, COME AI BEI TEMPI
Di spunti la vita te ne
regala a migliaia; lui ne ha raccolti alcuni,
limando il superfluo, spremendo un ironico succo,
battagliando con i paradossi nazional-popolari,
agitandosi, sudando e incazzandosi.
Il suo “Recital” castellano –lassù
è salito assieme al fedele Savino Cesario,
ex funambolico chitarrista di Paolo Rossi- ha
abbracciato alcuni dei più evidenti tic
esistenziali, usando l’affabulazione libera
senza trucchi né supporti tecnologici.
Chi sfida la platea con voce e mente, binomio
spettacolare deo più antichi, si porta
appresso poche povere cose. Una sedia, uno capace
di crear musica – e Savino lo è,
alla grande – e una cospicua riserva polmonare.
Gioele è nato lì, sulle ruvide tavole,
e non cade nella trappola tesa dal Teatro ai televisivi,
abituati ai tempi frettolosi dei ciak e dei tanto
se si sbaglia si rifà. Ed è proprio
contro la scatola rettangolare che Dix ha sganciato
un anatema- monologo incessante e da chilometro
lanciato, dopo aver ammorbidito la platea con
un dialogare scaltro e affettuoso. Occhio, non
facciamoci usare, è un refrain usurato,
ma ce lo scordiamo spesso. Lei, la tv, prova a
infinocchiarci ogni santo giorno con i suoi assorbenti
volanti o coi suoi tenori che ci illudono di “contare
qualcosa in banca, ma i loro, di conti, son venti
e tutti fuori dall’Italia.”
Alle volte il gioco le riesce. Non c’è
tempo per una sigaretta nel retropalco; Dix non
molla l’osso, attutisce il ritmo con favoletta
moralistica; in soldoni: “Non sempre chi
ti mette nella merda lo fa con cattiveria e non
sempre chi ti toglie da lì lo fa per il
tuo bene”.
Dix, ci ha fatto riconciliare col mondo brutto,
seppellendoci di risate, dimostrando con nitidezza
che il vetro che ci separa la domenica sera, è
solamente componentistica televisiva e non un
banale trucco virtuale.
Gian Paolo Polsini, Messaggero Veneto, 29 luglio 1999.