Gioele Dix Edipo.com

Edipo.com

di Sergio Fantoni e Gioele Dix
con la collaborazione di Francesco Brandi

con Gioele Dix (Anselmo) e Luisa Massidda (Giada)
regia Sergio Fantoni
produzione La Contemporanea S.r.l. e Giovit S.r.l.

Anselmo, intellettuale espansivo e nevrotico, in piena crisi esistenziale a causa di un rovescio sentimentale, è ospite di una clinica della salute alquanto singolare. Ad ogni "ricoverato", infatti, un equipe di medici propone un trattamento personalizzato, che prevede sia cure per il riequilibrio fisico che terapie finalizzate al benessere mentale. Il ferreo regolamento interno vieta, tra l'altro, che i pazienti-impazienti possano leggere libri. Ma Anselmo, per natura disobbediente, trasgredisce alla regola leggendo e rileggendo, di nascosto, una tragedia che da tempo misteriosamente lo ossessiona: Edipo re di Sofocle. Lo scopre Giada, infermiera inglese di origini italiane che lo assiste e accudisce in esclusiva. La donna dovrebbe sequestrargli il libro. Invece, un po' per simpatia e un po' per curiosità, si lascia coinvolgere dal racconto appassionato che l’uomo le propone della complicata vicenda dell'antico re di Tebe. Anselmo si impegna nella narrazione senza risparmiarsi, entusiasta all’idea di far scoprire alla sua privilegiata spettatrice i mille risvolti di una storia che conosce praticamente a memoria. La descrive, la ambienta, la colora. La arricchisce. Ci inventa sopra. Ci polemizza intorno. Usa ogni mezzo possibile per renderla comprensibile, abbordabile, amabile. La attualizza, ma non la banalizza. Edipo è un globetrotter, o forse è il tenente Colombo. La pestilenza di Tebe è il nostro malessere quotidiano, forse quel male oscuro che ci rende ostili. Tiresia è la voce della nostra coscienza, oppure è il potere occulto e mafioso che ci condiziona? Giocasta è la donna dei nostri sogni di uomini, quasi certamente. Anselmo “recita” tutti i personaggi della storia, parteggia per alcuni e ne irride altri, mischiando i toni tragici del mito a buffe, a volte esilaranti, parentesi legate alle proprie vicende personali. Si trasforma, quasi senza rendersene conto, in un singolare e trascinante cantastorie iper-moderno. Giada gli fa progressivamente da spalla, domanda, commenta, insinua, devia, rivelando un proprio mondo interiore perplesso e candidamente ironico. Il gioco è assai divertente per entrambi, sebbene la materia si faccia via via più spessa e dolente. Anselmo fa persino fare a Giada la parte di Giocasta. Ma quando il racconto della tragedia sta per giungere al suo epilogo, Anselmo si blocca contrariato: non ama quel finale e si rifiuta di proseguire. Alle proteste vibrate di Giada che vuole giustamente sapere “come va a finire”, replica proponendole una conclusione tutta diversa del dramma. Edipo, pur riconoscendosi colpevole, chiede un regolare processo. Ora Anselmo è Edipo. Ma Edipo parla come Anselmo. E di fronte ai giudici in tribunale, rilascia una dichiarazione spontanea nella quale ammette le proprie responsabilità, ma rifiuta il senso di colpa. E’ vero: ha ucciso suo padre, ma senza saperlo. Laio invece lo aveva rifiutato e annientato con piena coscienza. E’ giusto avere pietà di un padre che ha il terrore di esserlo? E’ vero: Edipo e Giocasta si sono amati non come una madre e un figlio, ma senza saperlo. Lei è stata per lui tutto meno che materna. E’ un peccato assoluto? Quanto al dottor Freud, ce n’è anche per lui. E infine, una riflessione sull’istinto di accecarsi, sulla tentazione di impedirsi a vederci chiaro. Meglio non consegnarsi al proprio destino, meglio VEDERE, anche se non sempre il panorama di grande bellezza. Anselmo si sente sollevato, ha compiuto la sua privata catarsi, scopo precipuo della tragedia, come insegnano a scuola. Finalmente guarito (forse), sia come Edipo che come uomo, decide di lasciare la clinica. Giada non è delusa, ma vuole conoscere il vero finale della storia raccontata da Sofocle, quello “dove si piange” (perché a qualcuno fa bene più piangere che ridere). Allora Anselmo le lascia in regalo il libro e, mentre si allontana, scorge con soddisfazione la donna che corre a leggere di nascosto la “sua”, o meglio la “loro” tragedia preferita.


E’ possibile raccontare Edipo ridendo?

Lo spettacolo possiede una potente forza comunicativa che lo rende molto gradito al pubblico. Due diversi piani narrativi si intersecano a sorpresa: la storia di Edipo e la vita del protagonista, Anselmo. Il racconto dell’una è terapeutico nei confronti dell’altra. L’indagine di Edipo sulla propria origine procede per stadi progressivi di presa di coscienza. Sofocle pare davvero uno psicanalista prestato al thriller, o forse un giallista prestato alla psicoterapia: srotola sapientemente la tragica vicenda con ritmi irregolari, accelera e decelera di continuo, pare di sentire il respiro affannoso di Edipo, o il suo cuore in intermittente allarme. Anselmo soffre e si fa presente ove Edipo è latitante, come anestetizzato. L’eroe è grande, soprattutto nella sua debolezza. E il narratore, Anselmo (e gli spettatori con lui) riempie quei vuoti apparenti, prende tempo durante quelle sospensioni che Edipo pare prendersi di fronte all’amara verità sul suo destino. Non può non scaturirne la risata, in alcuni di quei momenti. L’ironia è contigua alla tragedia, nascono entrambe dall’inciampo, dall’errore, dal deficit. A volte si dice: è tragico. Eppure può far ridere.

Foto di Tommaso Lepera


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